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Psicologa clinica e psicoterapeuta psicoanalitica

Dott.ssa D’Acuti Arianna

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Diventare, essere genitori

Il compito di un genitore inizia molto prima di quanto si immagini, inizia nel momento stesso in cui nella mente compare il desiderio di esserlo.

A differenza di qualche anno fa, oggi è sapere comune che già in gravidanza inizia la relazione col bambino e da qui il ruolo di genitori. Poca attenzione è data ancora all’atto di decisione: cosa scatta nella mente di una persona che decide di avere un bambino? E cosa succede poi?

Sappiamo ovviamente che dentro di noi agisce la spinta primordiale di preservare la specie e quindi di procreare, ma l’esperienza clinica e i dati statistici dimostrano che questo desiderio è oggigiorno estremamente mediato dal condizionamento culturale e dal clima relazionale in cui viviamo. Alcuni esempi che abbiamo sotto gli occhi: l’età in cui si diventa genitori sta crescendo, nonostante il periodo più adeguato a livello genetico sia rimasto lo stesso; il numero di figli si abbassa costantemente e la percentuale di figli unici aumenta; molte persone decidono di non avere figli, nonostante per la specie sia controproducente

C’è necessità quindi di supporre che altri stimoli contribuiscano a questa decisione, e già stare a parlare di decisione ci dice quanto ci siamo allontanati dal puro desiderio. Ipotizziamo che la spinta primordiale accenda la lampadina, e poi? Poi ognuno fa i conti – consapevolmente o meno – con la propria realtà, con la propria struttura, col fatto di essere figli.
Facciamo esempi pratici per meglio comprendere:

  1. Voglio un figlio ma ho paura
  2. Voglio un figlio, solo così mi sentirò davvero realizzata/o
  3. Voglio un figlio a tutti i costi
  4. Voglio un figlio ma non arriva
  5. Voglio un figlio ma il mio partner no
  6. Non voglio un figlio ma il mio partner sì
  7. Non voglio un figlio ma tutti se lo aspettano

Voglio un figlio ma ho paura

La paura prende varie sfumature, dalla mia esperienza clinica le più tipiche sono tre:

  • non sentirsi all’altezza, non sentirsi adeguati;
  • temere la responsabilità e la perdita di libertà;
  • temere che il bambino possa avere dei problemi.

Parto dall’ultima: di solito la paura che il bambino possa nascere con problemi non frena più di tanto la realizzazione del desiderio, a meno che nella famiglia di origine ci sia qualche patologia genetica o siano già avvenute situazioni problematiche. Se questo è il caso, spesso la persona si sente “difettata” e, anche inconsapevolmente, arrabbiata coi propri genitori che le hanno trasmesso questa pesante eredità. Di conseguenza nasce a volte un sentimento di colpa e vergogna verso il proprio partner, con gravi disturbi all’interno della coppia e del suo equilibrio paritetico. Se questa situazione si presenta, è assolutamente necessario fare un lavoro personale per poter prendere coscienza di tutte le sfumature che ci si porta dentro e poter accettare ciò che possediamo prima di avventurarsi nel divenire genitore.

Il non sentirsi all’altezza può basarsi su differenti premesse. A volte la persona non si sente all’altezza di essere genitore come non si sente all’altezza del lavoro che fa, di essere un partner adeguato, di affrontare nuove situazione, di aspettative proprie e altrui. Per dirla in poche parole, non ci si stima a sufficienza proprio come persona e questa problematica ricade a cascata in ogni ambito della vita. Di solito ci si sente inferiori agli altri, non si è mai tranquilli nel fare le cose – anche quelle che si sa fare bene – ci si giudica molto puntualizzando i lati negativi senza considerare i propri punti di forza, ci si sente sempre giudicati e criticati dagli altri, anche quando non accade, ci si tira indietro rispetto a nuove esperienze per il timore di fallire, quando si affrontano le cose il grado di agitazione è talmente alto che la possibilità di errore cresce a dismisura e, come una profezia che si avvera, spesso e volentieri i risultati ottenuti confermano il nostro sentirci inadeguati.

Nessuno può insegnarci a essere genitore o meglio, non si impara sui libri e non si impara in teoria. Eppure dentro di noi c’è un’idea di cosa significhi essere genitore e questa idea viene creata nella relazione diretta di noi figli coi nostri genitori: quello che abbiamo vissuto con i nostri genitori e quello che abbiamo visto nei nostri genitori è la base che, volente o nolente, condiziona il nostro pensarci genitore.

Se nel nostro vissuto loro non erano un buon esempio come genitori, rifiutiamo il loro modello ma non ne abbiamo un altro a cui riferirci. Da qui l’ansia. Oppure temiamo di poter diventare come loro e questa paura ci frena nel metterci nella stessa situazione. O ancora, loro erano così bravi, così perfetti che mai e poi mai saremo in grado di eguagliarli. Qualunque sia la situazione, per diventare genitori è necessario in primo luogo riappacificarci con le figure genitoriali che portiamo dentro, trasformarci da figli a persone adulte, poiché, anche se ci comportiamo al meglio come genitori, quello che trasmettiamo al bambino è la complessità del nostro essere e del nostro sentire.

Anche per quanto riguarda il timore di perdere la libertà e assumersi la responsabilità dobbiamo guardare indietro, ai nostri genitori. Lo ripeterò molto spesso nell’articolo, perché la realtà è proprio questa: tutto ciò che diventiamo da grandi dipende dalla relazione primaria con le nostre figure genitoriali e, per avere la possibilità di sentirci appieno genitori, dobbiamo sganciarci dalla dipendenza da quello che è stato il nostro passato.

Incontro sempre più persone che temono la perdita della propria libertà, come mai avere figli è vissuto così? Chiaro, un contributo è dato dalla situazione culturale in cui ci muoviamo, concentrata sull’individualismo, assuefatta da una soddisfazione immediata dei desideri e soprattutto incentrata su ritmi frenetici di vita. L’altro motivo lo ritroviamo nella nostra infanzia: cosa ci hanno trasmesso i nostri genitori? C’era gioia in loro, erano soddisfatti come individui o ti hanno fatto pesare in qualche modo la tua presenza? Molto spesso ci è trasmesso il sacrificio che un genitore deve fare, sentiamo ancora la loro voce che ci ricorda a quanto hanno dovuto rinunciare a causa nostra. Quanto è stato duro tirarci su e frasi simili. Ad esempio, succede ancora, e succedeva molto più nel recente passato, che la madre “rinunci” ai propri sogni professionali per occuparsi del bambino e che questa rinuncia le pesi. Il bambino lo sente, anche se la mamma non lo dice. Sente la sua insoddisfazione e la vive introiettandola, sentendosi un peso, sentendosi in colpa e spesso mettendo in atto tutta una serie di strategie per rendere “felice” la mamma.

Altra situazione si presenta se abbiamo avuto genitori “sacrificali”, genitori che si dedicano completamente a noi figli, che mettono da parte ogni altra cosa – inclusa la loro relazione – perché al primo posto ci siamo noi. Genitori che per il bene nostro offrono, sacrificano (rendono sacra) la loro esistenza a noi: lavorano tantissimo per poterci permettere il meglio in ogni cosa; annullano la loro vita sociale perché adorano stare sempre con noi; non considerano i propri bisogni ma solo i nostri e così via. L’esperienza che arriva a noi in qualità di figli è che tutto ciò rientra nella normalità, è giusto ciò che loro fanno per noi, è giusto per noi essere al primo posto. Tra l’altro, a differenza di quello che ho detto prima, non arriva il lamento o la rimostranza (mi sacrifico per te) ma il bimbo sente la totale dedizione dei genitori e può sentirsi un principino a cui tutto è concesso. E una volta adulto? Questo bimbo “cresciuto” si aspetterà che tutti siano al suo servizio, non sarà per nulla disposto a cedere questo primato, non sarà disposto a “sacrificarsi” per niente. Poi appare l’idea di divenire genitore, e con questa idea l’immagine di legarsi a doppia corda e di dover rinunciare a tutta la propria vita per il figlio. Perché? Perché questo è ciò che ha visto e vissuto coi suoi genitori, perché questa è l’immagine interiore che si porta dentro, perché la parte rimasta bambina grida e si ribella alla possibilità di doversi mettere da parte per occuparsi di qualcun altro.

Altro esempio: se i tuoi genitori sono stati persone molto responsabili, che hanno sviluppato molto il senso del dovere e poco la parte ludica nella relazione con te, è possibile che crescendo tu sia diventato una persona estremamente affidabile, ponderata, attenta. E la gioia? C’è gioia, piacere, leggerezza nella tua vita? Se pensi di divenire genitore, cosa credi peserà maggiormente dentro te? La gioia di poter assistere al miracolo della vita, o l’enorme responsabilità che questo comporta? Non ho la presunzione di poter considerare tutti i casi e le miriadi di sfumature che fanno parte della relazione coi tuoi genitori e che possono intervenire nella decisione di diventarlo.

Vorrei solo dare degli esempi per mettere in luce quanto ciò che sta alla base dei nostri vissuti rispetto a divenire genitori sia profondamente interconnesso con le nostre esperienze primarie e di quanto sia assolutamente necessario ripercorrere le nostre esperienze primarie per poter liberarci dagli schemi prefissati dentro di noi. I risultati che le neuroscienze hanno ottenuto negli ultimi anni dimostrano in maniera scientifica ciò che la psicologia dice da molto più tempo: la nostra libertà di azione è mera illusione, nel nostro cervello sono registrate e marcate linee di azione, reazione, pensiero e solo un profondo lavoro di consapevolezza e di comprensione del perché siamo strutturati in un certo modo può liberare energie utilizzabili in nuove strutture comportamentali.



Dott.ssa D’Acuti Arianna
Psicologa clinica e Psicoterapeuta psicoanalitica Avellino

Dott.ssa D’Acuti Arianna

Psicologa clinica e psicoterapeuta psicoanalitica a Avellino (AV)
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