La metafora del Padre è, dice Lacan, un “principio di separazione” (Scritti, p. 853). Una metafora sostituisce un significante (parola) a un altro. Essa sostituisce, qui, il Nome-del-Padre al significante che Lacan chiama “al posto che è primitivamente simbolizzato dall’operazione dell’assenza della Madre” (Scritti, p. 553) e che egli designa come “il Desiderio della Madre”. La sostituzione in questione significa che il legame col padre prende il sopravvento sul legame con la madre.
Nel suo Discorso ai cattolici, Lacan propone una formulazione di questa metafora del Padre opponendo, da una parte, l’invisibile al visibile, e, dall’altra, la fede e la legge alla carne: “Il primato dell’invisibile, in quanto caratterizza la promozione del legame paterno, fondato sulla fede e la legge, la vince sul legame materno, che è fondato su una carnalità manifesta”.
Da sempre esiste una battaglia della fede contro la carne. Sant’Agostino evoca la piaga che apre, nel corpo del peccatore, la lotta della fede contro “la concupiscenza della carne”. L’anima, scrive Sant’Agostino in Le confessioni - libro X, aspira a “essere liberata dalla colla della concupiscenza”.
Il legame di Sant’Agostino con Dio si annoda, nel decimo libro delle sue Confessioni, alla privazione alla quale decide di piegarsi: “Tu mi chiedi la continenza”, scrive. Di fatto, precisa, la continenza di fronte a questa tripla concupiscenza – quella della carne, quella della curiosità e quella dell’orgoglio, dell’amor proprio, dell’ambizione. Concupiscenza, curiosità, orgoglio è ciò che Pascal, nel suo testo I Pensieri, chiama “le nostre impotenze”. È ciò che avrebbe anche potuto chiamare i nostri godimenti. Nel cuore stesso della metafora del Padre, infuria, di conseguenza, la battaglia tra il significante (la parola) e la carne, cioè la pulsione, il corpo, il legame materno. A questo riguardo, la condizione umana è “miseria” per Sant’Agostino e “indegnità” per Pascal. Solo il pensiero, ossia, si potrebbe dire, il significante (la parola) permette all’uomo, afferma Pascal di sfuggire alla sua condizione naturale, di solo corpo, di solo prodotto materno. Si ricorda, in effetti, di questo leggero oscillamento che il soffio della frase pascaliana evoca: “L’uomo non è (di fronte al vento, si potrebbe aggiungere) che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa”. Questa canna si piega ma non si spezza.
Si ricorda anche di La Fontaine che nella suo scritto La Quercia e la Canna in Favole, dice dell’umile canna confrontata all’orgoglio della quercia: “L’Albero resiste, la Canna si piega. Il vento allor i suoi attacchi fa più forti e abbatte chi dal ciel ormai era a una spanna e con radici nel regno dei morti”.
Dott.ssa D’Acuti Arianna
Psicologa clinica e Psicoterapeuta psicoanalitica Avellino
Psicologa clinica e psicoterapeuta psicoanalitica a Avellino (AV)
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